
Retroscena
Anche senza bottino, i cacciatori rientrano felici
di Patrick Bardelli
Tra bar e montagne, scenari apocalittici da Signore degli Anelli in Appenzello. Passiamo una giornata con Ruedi Gamper, appassionato di avventura e attività outdoor. Per lui una passeggiata, per me e Tom, il fotografo, un viaggio infernale in paradiso.
«Vi siete portati altro?» chiede Ruedi, dopo aver scansionato al volo la nostra attrezzatura. Siamo nel Südbar, nel bel mezzo di San Gallo, e la situazione generale è assurda. È una sorta di appuntamento al buio tra tre tipi vestiti apposta per un'escursione outdoor. Infatti, io, Tom e Ruedi non ci siamo mai incontrati prima. A parte il fatto che abbiamo parlato un paio di volte al telefono, ovviamente. E abbiamo avuto l'idea di lanciarci insieme. In montagna, sull'acqua, con un paracadute.
Cosa da tutti i giorni per Ruedi, idea estrema per me e per il fotografo Tom. Ora ci troviamo faccia a faccia, davanti alla parete di alcolici del bar. Ruedi, 36 anni, alto, le spalle definite di chi esce e pagaia tutti i giorni, cappellino, barba e uno sguardo bello sveglio. Esattamente come ce lo aspettavamo. Uno con cui andresti a fare una spedizione sull'Himalaya. Ruedi è uno che scala le montagne, discende le rapide in kayak e vola attraverso l'Europa con il parapendio.
Sembriamo mascherati. I miei scarponi sono un po' troppo nuovi, le vecchie suole di Tom consumate nel Sud-Est asiatico: tutt'altro che adatte all'alpinismo. Non ci avevo pubblicizzati come alpinisti d'alta montagna, ma probabilmente Ruedi si aspettava già due ragazzi che hanno infilato tutto ciò che aveva una parvenza «outdoor» nello zaino. Per un momento ci sentiamo due intrusi, veri e propri finti alpinisti. L'irritazione svanisce appena Ruedi sorride e ordina il caffè.
Cambiamo un programma che non è mai esistito veramente.
«Credo che dobbiamo semplicemente fidarci e vedere dove ci porta Ruedi», avevo risposto a Tom quando mi aveva chiesto informazioni prima del viaggio. Ed è esattamente quello che ci dice ora Ruedi. Andiamo nell'Appenzello. Il resto lo decidiamo quando siamo su. Per ora, il piano è questo. E perché la nostra avventura estrema outdoor inizia in un bar? Perché Ruedi è il capo. Decide lui.
Vive tra bar e montagne, whiskey e rapide. Vive una vita piena. E ha un van VW, in cui ci infiliamo per raggiungere la nostra prima meta. È ufficiale: lasciamo l’ufficio e ci dirigiamo verso il cielo grigio. Le previsioni meteo di giugno sono prevedibili quanto quello che ci aspetta.
Ci fermiamo a far benzina. Ruedi ci tira una Fetta al latte, insieme a storie delle sue avventure in tutto il mondo. Dallo specchietto retrovisore, penzolano una mascherina da snowboard e un Arbre Magique, profumo «primavera».
Le stagioni sono secondarie, perché si tratta di spedizioni, time-out, avventure in tutti i continenti. 72 vette da tremila metri, un record per la pagaia. Ruedi colleziona esperienze estreme con la stessa leggerezza e frequenza con cui noi beviamo tazze di caffè. Si butta con il kayak nelle cascate dell'Urnäsch, scende pendii scoscesi sullo snowboard o si lancia in paracadute.
Volare è la sua passione più recente. La scuola di volo che superiamo con il van ha una pubblicità con la sua faccia. Ruedi è una specie di ambasciatore dell'Appenzello. Eppure, allo stesso tempo si vede che non si fa problemi a uscire per una piccola avventura come la nostra. Perché è curioso delle persone e si diverte semplicemente a stare nella natura.
Parcheggiamo alla fermata Ebenalpbahn a Wasserauen, facciamo il biglietto e giungiamo alla stazione a monte. Meno avventuroso di così, è difficile. Anche la vista è praticamente inesistente. Forse non sarebbe stata un'idea folle rimanere al bar.
Qui, a 1640 metri sul livello del mare, questa giornata di giugno non è solo grigia, ma anche molto fresca. Ad eccezione dello Schäfler, è una passeggiata di circa un'ora, sulla quale ci sono ancora quasi 300 metri di altitudine da superare. Per molti è una stazione di transito sulla strada per il Säntis.
Il nostro obiettivo non mi è ancora del tutto chiaro. Ruedi è responsabile del percorso e ha un motto per noi: «Guardate qua, dovete fargli una foto», dice, mentre indica con la sua bacchetta l'iscrizione nel cartello di legno.
«Chi non si pone un obiettivo, si arrenderà dopo i primi passi.»
I nostri obiettivi? Fare un'esperienza in montagna. Vedere almeno una volta il sole. E tornare a casa pensando che ne sia valsa la pena. Obiettivi modesti. Clic. Tom scatta una foto al detto e ripartiamo. Tre escursionisti solitari che risalgono la montagna, dove probabilmente non c'è molto da vedere.
Dopo i primi passi incontriamo un gruppo di anziani. Ruedi saluta cordiale, scambia opinioni, chiede informazioni sulla situazione. Aperto, rivolto e onestamente interessato. Sembra un padrone di casa felice di incontrare chiunque visita la «sua» regione. Fino alla vetta, davanti alla quale le coraggiose truppe si sono tirate indietro, non incontreremo più nessuno.
Siamo solo noi, il sentiero e natura a non finire. «Questa è la mia personale Terra di Mezzo», dice Ruedi, mentre il polso aumenta e l'aria umida di montagna fluisce nei nostri polmoni. Siamo soli e a ogni passo ci immergiamo un po' di più nell'atmosfera mistica. Viste panoramiche? Sopravvalutate.
Sono già passato di qua. Con bel tempo e seguendo il sentiero escursionistico. C'era molto da vedere ed era bellissimo. Oggi scarpiniamo in una cortina di fumo, che diventa lo sfondo delle storie di Ruedi. Di tanto in tanto lasciamo il sentiero, ci arrampichiamo in fessure frastagliate e ci troviamo davanti al nulla.
Ruedi racconta la storia di un muro pendente a 45 gradi e di «first lines» che ha fatto in snowboard nella neve fresca. Dalle vette agli abissi dell'Alpstein. Noi intanto proviamo a immaginare cosa possa significare lanciarsi giù da un pendio invisibile.
Le montagne hanno un certo effetto su quest'uomo Ancora una volta, il suo viso si accende di un entusiasmo che nessun essere umano potrebbe fingere. È come se per un breve momento fosse il bambino (grande) che c'è il lui a parlare. Lui vede tutte le possibilità, noi fortunatamente non vediamo i pericoli. «Attenzione, se cadi fai un volo di 400 metri», dice Ruedi con disinvoltura, mentre sale la cengia successiva con una presa sicura e si appoggia rilassato.
«Vi presento il mio ufficio! È anche da qui che ho progettato il piano per il bar». La fa facile. Una pietra da cui sgocciola dell'acqua ci ricorda che, a questo punto, non possiamo permetterci di commettere un errore. Io e Tom procediamo ad un ordinato ritiro.
Mentre Ruedi ci ricopre di aneddoti e controlla il tempo, siamo già nel nostro film. I dubbi sono svaniti, il sentiero battuto dimenticato e lasciato a sinistra. Scendiamo verso la vetta mentre il sole spinge sempre di più attraverso la nebbia.
Ruedi accelera il ritmo e fa passi elastici fino all'ultimo nevaio rimasto. Poi il cielo si apre.
Ci troviamo sullo Schäfler, respiriamo profondamente e ci godiamo questo perfetto teatro all'aperto. Davanti a noi si apre una nuova prospettiva, le vette si innalzano nel più bel cielo azzurro di giugno prima che la tenda di nuvole cali e inizi un nuovo atto. Il Säntis ci saluta da lontano. Il tempismo è tutto nella vita.
Assaporiamo questi momenti perfetti senza il velo grigio che ci ha accompagnati finora. Un regalo per il fotografo Tom, che ne cattura alcuni. Mentre Ruedi sta già percorrendo il prossimo pendio, io mi siedo lì, non oso andare oltre e non penso a nulla. È tutto perfetto. Così perfetto che quasi mi infastidisce.
«Senti le capre?» dice Ruedi, che si siede sotto di me sul precipizio. Gli zoccoli risuonano sulle rocce dure mentre veniamo circondati dalle capre di montagna. Ruedi si è portato dietro del pane, spesso le bestiole mangiano dalla sua mano. Ma non oggi. Forse c'è troppo vento per loro.
Oppure è il drone a irritarle, girando vorticosamente sulla cresta e nel mare di nuvole, rovinando il momento. In effetti, quassù non siamo poi così soli.
«Una volta, abbiamo girato una pubblicità per cui abbiamo fatto una corsa laggiù, sono venute fuori delle belle foto», dice Ruedi, indicando la cresta, e riprende subito a camminare, oltrepassando il cartello «da qui solo per alpinisti esperti», che io e Tom abbiamo semplicemente trascurato.
Mentre Ruedi cammina in bilico sull'abisso, si gode la vita e posa per la macchina fotografica noi gattoniamo pochi metri più avanti. «Mia moglie mi ucciderebbe se vedesse quello che stiamo facendo», sento provenire da dietro, e vedo Tom che maneggia l'obiettivo, leggermente teso.
Per lui, è un lavoro speciale su un terreno sconosciuto che ha sapientemente affrontato in anticipo con la Fujifilm x-e3. Davanti al suo obiettivo c'è un uomo, risorto dall'acqua bianca delle rapide, che nel suo blog non si presenta solo come un appassionato di kayak, snowboarder, barista, combinaguai e globetrotter, ma anche come fotografo delle sue avventure.
Mentre Ruedi cammina sulla cresta e fa la posizione yoga dell'albero su una gamba sola, Tom si aggrappa alla cima e scatta le sue foto. Ci fermiamo qui, ma il punto più alto dovrebbe essere proprio davanti a noi!
Dopo aver pranzato nella baita Schäfler, a stomaco e schede SD piene, ci rituffiamo nel grigiore che ci è ormai familiare. «Ora potete dire di aver fatto un'escursione alpina», dice Ruedi. Siamo tutti soddisfatti. Attraversiamo campi di neve sporca e ci muoviamo attraverso pozzanghere su sentieri fangosi.
Nulla di questo paesaggio ricorda lo spettacolo blu e bianco di poco fa e ogni passo ci riporta un po' alla vita di tutti i giorni. Se non fosse per Ruedi, che ride e sta in equilibrio sulla fune metallica a cui noi ci aggrappiamo, l'escursione sarebbe già finita da un po'.
Non aveva parlato di scivolare sui campi ricoperti di neve? Mi sembra una buona idea. Ma prima c'è da dare del pane agli asini che incontriamo nella baita Mesmer.
Dopodiché, inizia la discesa ripida.
Non si capisce più dove finisca la montagna e inizi il cielo. Davanti a noi, la neve grigia dell'inverno si fonde perfettamente nella nebbia. Qui non ci sono quasi più contrasti, niente da vedere ma ancora qualcosa da scoprire. Facciamo pochi passi, solleviamo le gambe dalla neve e via!
Scivoliamo giù dal pendio. Tre ragazzoni, tre facce entusiaste, una dose di coraggio sfrontato. Ruedi rompe una bacchetta. Tom scatta sdraiato fuori dalla foschia, ci passa davanti, quasi non riesce a fermarsi e si ferma poco prima di aver colpito una roccia. Per fortuna, non succede niente. A parte le sue mani, che fanno male.
«Non cercare di alzarti, cerca di spingere lo zaino nella neve», consiglia Ruedi per la prossima volta. Se ce ne sarà una, perché qui abbiamo l'impressione che stiamo contando i nostri ultimi minuti. Lo scenario diventa apocalittico. Rocce, alberi piegati e una nebbia che inghiotte ogni colore. Abbiamo la sensazione che qui la vita sia finita da molto tempo. Eppure il paradiso è così vicino.
Un mare di fiori gialli immersi nel verde più intenso. Un paio di baite di montagna, caprette e il Seealpsee, liscio come uno specchio, che raddoppia la vista. Quando ci lasciamo dietro la linea della nebbia, per un momento i nostri occhi sono sopraffatti.
Dopo tutto il bianco e nero a cui ci eravamo abituati, la vista è travolgente, intensa e contrastante, morbida e calda allo stesso tempo. Solo un attimo fa stavamo facendo il tifo per la neve, ma ora ci sentiamo profondamente soddisfatti. Niente abissi, niente brividi che ci attraversano la schiena. Ma comunque una vista incredibile e un momento indimenticabile.
Ci prendiamo una pausa su una roccia, ci godiamo il panorama e chiacchieriamo prima di scendere giù dal prato. A parte una coppia in barca a remi, che usa il cellulare per documentare come ci si può far fotografare da un fotografo, non c’è nessuno in giro.
Ci sediamo sulla riva del lago, ci guardiamo indietro e siamo arrivati. Da noi. E in un posto che significa molto per Ruedi. «Mi sono anche fatto tatuare le coordinate sul braccio», racconta. In passato veniva spesso qui con suo padre quando le cose erano complicate, quando le cose diventavano complicate e difficili da gestire, e c'era bisogno di riflettere e lasciarle andare.
Ha un certo effetto anche su di noi. Chi non trova la pace qui in un giorno come oggi, ha un problema serio.
Prima di partire, abbiamo esitato. Tre tipi che camminano nella nebbia: a chi può interessare una cosa simile? E chi lo sa. Però ne è valsa la pena. La vita non è un libro illustrato e non tutte le pagine sono colorate. Ci sono anche capitoli grigi, e sono proprio questi che rendono la storia versatile e fanno risplendere i momenti colorati.
Ci siamo trovati in luoghi da sogno, che quasi deserti hanno un effetto speciale. Dove e quando puoi ancora trovarli, se il tuo nome non è Ruedi Gamper e il tuo ufficio è oltre l'abisso.
Per lui, la vita è piena di obiettivi, che possono portarlo più in alto, più veloce e più lontano – ma non necessariamente. Ruedi fa ciò che ama.
L'escursionismo nell'Alpstein non è proprio una novità o un'attività che ti posso consigliare da insider, ma merita sempre una visita. Noi siamo saliti da Wasserauen con la Ebenalpbahn, abbiamo lasciato l’Aescher sulla sinistra e ci siamo diretti verso la cima dello Schäfler. Da lì siamo passati per il ristorante di montagna Mesmer al Seealpsee e poi felicemente di nuovo a Wasserauen. E, grazie a Ruedi, non abbiamo seguito solo i percorsi ufficiali. Se vuoi seguirlo, puoi farlo su Instagram.
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Semplice scrittore, doppiamente papà, che ama essere in movimento e destreggiarsi nella vita familiare quotidiana, come un giocoliere che lancia le palline e di tanto ne fa cadere una. Può trattarsi di una palla, di un'osservazione, o di entrambe.