Retroscena

Anche senza bottino, i cacciatori rientrano felici

Patrick Bardelli
26.10.2021
Traduzione: Leandra Amato
Collaborazione: Claudio Viecelli

La caccia riveste un'importanza particolare nei Grigioni, più che in qualsiasi altro cantone della Svizzera. Durante il periodo di caccia, dietro ogni secondo albero potrebbe nascondersi un cacciatore che attende pazientemente la sua preda. Sono circa 5 500 quelli che ogni anno a settembre partecipano alla caccia alta nei Grigioni. Ho accompagnato due di loro.

Due giorni prima

Finalmente arriviamo al rifugio, dove Claudio ci aspetta già con formaggio, Salsiz e pane.

Una giornata quasi da dimenticare

Claudio e Marco passano il resto della mattina a fare piccoli lavori al rifugio. C'è sempre qualcosa da fare. Ad esempio, rimuovere i chiodi che fuoriescono dalle travi di legno del magazzino e su cui è facile impigliarsi. Una cosa tira l'altra e l'ora di pranzo arriva in fretta: spaccare la legna, accendere il grill e preparare l'insalata.

«La selvaggina si adatta a noi cacciatori», dice Claudio. Quando gli chiedo cosa intende, il biologo spiega che i cervi e tutti gli altri animali si sono adattati ai ritmi della caccia. Ad esempio, la selvaggina va sempre più spesso in giro di notte, mentre durante il giorno si nasconde sotto i cespugli di ontano. Questa ipotesi è confermata anche dalle registrazioni delle telecamere che i cacciatori hanno distribuito in zona prima della caccia alta dei Grigioni.

Alle sei e mezza raggiungiamo finalmente la zona dove Claudio e Marco vogliono appostarsi. Ci piazziamo come meglio possiamo su un ripido pendio tra l'erba alta e aspettiamo.

Arriviamo al rifugio: doccia, cibo, letto. Non si può fare altro per oggi. Una giornata quasi da dimenticare volge al termine. Abbiamo potuto osservare il cerbiatto per alcuni minuti. Che spettacolo. Vado a dormire totalmente sollevato dal fatto che non sia stato ucciso.

Una giornata memorabile

In pochi chilometri copriamo più di 500 metri di altitudine. Questo significa che all'andata io e Claudio camminiamo sul fianco della montagna a strapiombo. È faticoso, ma non quanto la strada del ritorno. Ma ne parlerò dopo... Camminiamo letteralmente andando incontro all'alba, uno spettacolo maestoso. Il panorama montuoso è mozzafiato.

Il sole nascente illumina le cime intorno a noi di una luce ambrata. Mi fermo ad assaporare questo momento. Poi andiamo avanti in silenzio. Un misto di umiltà e gratitudine si diffonde in me.

Ed è così che è nata questa foto:

Con il telemetro del suo binocolo, Claudio determina la distanza tra noi e la marmotta: circa 170 metri, a volte meno, a volte più. Ma anche se il cacciatore è generalmente autorizzato a sparare tra 0 e 200 metri, la distanza è troppo ampia per colpire la marmotta. Una regola non scritta dichiara infatti che per una marmotta non dovrebbero esserci più di circa 50 metri di distanza.

Anche il piccolo mammifero sembra conoscere questa regola e gioca con noi al gatto e al topo, o meglio, alla marmotta e al cacciatore per un'ora e mezza. A volte è a 100 metri, a volte a 190 e a volte a 70. Tuttavia, non è mai a meno di 50 metri. Dopo 90 minuti, ne abbiamo abbastanza, diciamo alla marmotta «In bocca d'luf», un saluto da cacciatore che augura buona caccia, e torniamo al rifugio.

Siedo esausto, sudato, affamato e con un ginocchio dolorante. Claudio mi porta qualcosa da bere, mentre Marco si mette davanti al rifugio di caccia e dice: «La brace è calda e l'insalata è pronta. Metto le salsicce sul fuoco. In dieci minuti sarà tutto pronto». Vorrei abbracciarlo.

Per concludere la caccia alta del 2021, ci rilassiamo davanti al rifugio. Marco ha preparato delle candele finlandesi che accendiamo per l'occasione.

Più tardi in serata ci prepara un tradizionale «Prättigauer Käsegetschädder», una sorta di fondue con latte e cipolle, al posto di vino bianco e aglio. Padella sul tavolo, cucchiaio in mano e tutto va per il meglio.

Epilogo

Un animale selvatico non proviene da un allevamento, ma passa tutta la sua vita in libertà e, se il cacciatore fa bene il suo lavoro, non deve soffrire. Secondo questo principio, la carne di selvaggina dovrebbe essere quindi veramente sostenibile, contrariamente al resto che non lo è o solo parzialmente. Di conseguenza, noi mangiatori di carne dovremmo coprire i nostri fabbisogni con la caccia o fare a meno della carne.

Cos'altro ho imparato dalla caccia alta nei Grigioni? Che ho già un deficit di sonno dopo due giorni, che non mi piacciono le discese, che il buon cibo è essenziale per il morale, che un cacciatore può essere felice anche se rientra a mani vuote, che abbiamo perso nel gioco del cacciatore e della marmotta e che le montagne sono preziose per la mia salute mentale e il mio benessere. Per tutto questo, ringrazio Claudio e Marco dal profondo del mio cuore.

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Da giornalista radiofonico a tester di prodotti e storyteller. Da corridore appassionato a novellino di gravel bike e cultore del fitness con bilancieri e manubri. Chissà dove mi porterà il prossimo viaggio.


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