
Opinione
Ecco perché una passeggiata al primo appuntamento è fantastica
di Pia Seidel

Non appena le foglie si tingono di giallo e le temperature scendono, so che l'inverno sta arrivando. E con lui anche il mio calo d'umore stagionale. Ma non questa volta.
Un tempo il luccichio delle luci di Natale si rifletteva nei miei occhi; oggi c'è solo un velo opaco, incorniciato da occhiaie stanche e profonde. L'inverno mi ha spezzata. Da molti anni ormai. Ma non quest'anno, perché ho deciso di riprendermi la mia gioia. Bene, l'ho detto!
Niente era più speciale del mese di dicembre. L'albero di Natale addobbato, i sacchettini del calendario dell'Avvento cuciti a mano che pendevano dalla scala tra rami di abete e il dolce profumo dei biscotti alla cannella appena sfornati che si diffondeva in tutta la casa. Mia madre sapeva davvero dare vita all'Avvento.
Mi sedevo alla finestra e guardavo fuori ascoltando il chiacchiericcio dei miei cartoni preferiti nella puntata speciale di Natale e aspettavo il primo fiocco di neve. Per trentuno giorni di fila mi sembrava di essere avvolta nella bambagia. E poi arrivava il grande momento: la famiglia a tavola, le decorazioni, il buon cibo e i regali. Non vedevo l'ora che arrivasse quel giorno.
Il mondo girava nella direzione giusta.
La prima volta che sono entrata in guerra con l'inverno è stato durante l'apprendistato. Un'ora e mezza di viaggio, due volte al giorno, cinque volte alla settimana. Inizio del lavoro: ore 7:30. Gli anni di apprendistato non sono stati anni facili, sembravano un castigo. Uscivo di casa la mattina che era buio. Rientravo la sera che era di nuovo buio. Solo lavoro, freddo e buio.
E nel fine settimana, nebbia.
A un certo punto mi sono resa conto che il vero nemico non era l'inverno, ma quel velo grigio e pesante che, durante la stagione fredda, copre i raggi del sole. «Questa dannata nebbia. Perché non se ne va mai?» erano i miei pensieri fissi. La malinconia fatta meteo. Non come gli acquazzoni o i temporali. No. Quelli passano. Ma la nebbia, lei viene per restare. Per sempre.
Non volevo accettare l'inverno in città. Cemento grigio, neve grigia, nebbia grigia. Grigio, grigio, grigio. Così ho dato il benservito all'inverno e mi sono rifugiata nel sottosuolo. Nei club dove non esiste né giorno né notte. E dove nessuna nuvola poteva rovinarmi l'umore. Almeno fino la mattina dopo, quando mi buttavano fuori insieme agli ultimi ospiti e ai vetri rotti. È lì che mi aspettava la monotonia. Ma non era un problema, perché mi infilavo a letto e dormivo per il resto della giornata.
Ho usato questa strategia per molto tempo. E ovviamente, questo ritmo mi spossava ancora di più di quanto non fossi già. E sì, la stanchezza latente è veleno per il buon umore, ma alternative come «almeno un'ora al giorno all'aria fresca, sciare o fare una gita al sole» non erano compatibili con una normale settimana lavorativa.
Così sono finita in un vortice di avversione per l'inverno sempre più profondo.
A volte mi ritrovavo a rimpiangere l'estate già ad agosto. Invece di godermi il momento, elaboravo piani per stravolgere la mia vita in modo da poter emigrare al sud da novembre a marzo. O aprire un grottino in Ticino dove il sole splende anche d'inverno; sarebbe un sogno che si avvera. Purtroppo non parlo italiano. Forse un appartamento nei Grigioni è sufficiente. Mica tanto, anche lì il sole scompare dietro le colline altrettanto presto. Mannaggia.

Non importa come la giro: l'unico modo per superare la stagione fredda è accettarla.
Inoltre, il buio precoce ti costringe a trovare qualcosa di sensato da fare nelle ore in casa. Così, alle cinque e dieci del pomeriggio, quando il presunto tramonto è già passato, mi ritrovo a cercare attività realistiche per cui l'inverno si presta particolarmente bene.
E trovo quello che cerco.
I manuali propongono consigli come passeggiate invernali o incontri con gli amici. Va bene, non è la prima volta che li sento. Ma sì, sono attività fattibili. A meno che non abbia un crollo d'umore. In quei casi, non mi va di fare nulla. Nel frattempo, fuori è diventato buio pesto. Ed è qui che entra in gioco il consiglio successivo: «Trova un posticino in casa comodo e accogliente e goditi il tempo in cui nessuno fuori si perde qualcosa e lasciati avvolgere dalla pace e dalla tranquillità».
Non fare nulla? Tutt'altro che semplice.
Eppure, quel consiglio fa scattare qualcosa in me. Mi assale un impulso improvviso: spegnere la luce principale, accendere due candeline e avviare la prima playlist jazz invernale su YouTube. Da dietro lo schermo del computer guardo la luce della candela riflettersi sul vetro della finestra. I lampioni proiettano una luce soffusa sulle strade. Una coppia passeggia mano nella mano con i cappotti chiusi fino al collo.

Sento una sensazione di calore che sale. Forse a volte serve un po' di sentimentalismo per rompere il proprio cinismo. Per la prima volta dopo tanto tempo, l'inverno non sembra più un nemico, ma semplicemente quello che è: una pausa. Uno spazio intermedio, prima che tutto ricominci.
Forse è proprio questo che ci vuole.

Dipingere le pareti prima di lasciare l'appartamento? Preparare il kimchi in casa? Saldare il forno da raclette rotto? Riesco a fare tutto da sola? Non so, ma tentare non nuoce!
Questa è un'opinione soggettiva della redazione. Non riflette necessariamente quella dell'azienda.
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