
Retroscena
"Mi trucco con quello che trovo in cucina".
di Natalie Hemengül
Durante un seminario di Shinrin Yoku, con la guida di un professionista, mi sono regalata un’esperienza immersiva in un bosco. Grazie a questo esercizio mi sono venute un paio di ottime idee e sono sicura che in futuro tornerò a rilassarmi da sola nel bosco.
«Immergersi in un bosco» non significa tuffarsi in un lago circondato da alberi. Anche se di sicuro anche quello ti farebbe stare bene. No, lo Shinrin Yoku, noto anche come «immersione nel bosco», va interpretato letteralmente in un altro senso: non ti immergi nell’acqua, ma in un bosco. Per quanto inizialmente possa suonare un tantino ridicolo, alla base c’è un concetto supportato da studi scientifici che sostiene che questa pratica possa influire in modo molto positivo sulla tua salute.
Mi interessava capire che cosa c’era dietro a questa idea e mi sono iscritta ufficialmente a una sessione di immersione nel bosco. Per tre ore ho abbandonato la mia vita di città, con la sua frenesia e il suo clamore, e mi sono immersa nella calma di un bosco vicino.
La mia immersione nel bosco inizia alla periferia di Amburgo, di fronte alla Haus der Wilden Weiden, un museo di storia naturale nella riserva naturale di Höltigbaum.
È una giornata estiva calda e secca e pregusto già la frescura che ci sarà all’ombra degli alberi. Insieme a me, altre sette persone alla ricerca della pace hanno trovato la strada per il bosco. Il «tour balneare» è condotto da Angela von der Geest, educatrice ambientale che si autodefinisce «Waldbademeisterin», ovvero «bagnina del bosco». E giustamente, come vedremo nel corso del pomeriggio. Ci raggruppiamo di fronte al bosco, dove ci viene fornita una breve introduzione al tema.
Lo Shinrin Yoku, l’arte giapponese di immergersi in un bosco, è nato negli anni Ottanta. All’epoca, il governo giapponese cercava un modo per offrire alla popolazione urbanizzata, in costante crescita un’opportunità di svago per controbilanciare lo stress della vita in città. Trascorrere del tempo nella natura, preferibilmente in un bosco, in modo consapevole e cosciente, sembrò essere un buon modo per aiutare gli stressati abitanti della città a recuperare l’equilibrio e così fu istituita la pratica di immergersi nel bosco. Al contempo, il governo giapponese avviò approfonditi progetti di ricerca per studiare gli effetti dello Shinrin Yoku. Gli scienziati di tutto il mondo hanno ormai raccolto una serie di prove sugli effetti positivi di questa pratica sul corpo e sullo spirito: dalla riduzione dello stress, alla mitigazione degli stati di ansia e degli effetti della depressione, fino all’irrobustimento del sistema immunitario.
La nostra bagnina del bosco trasmette una calma incredibile. Se questa è l’influenza del bosco, l’esperienza sarà indubbiamente rilassante.
Dopo i brevi cenni di introduzione, il nostro piccolo gruppo parte. Arriviamo in un prato e davanti alla prima fila di alberi ci fermiamo e disponiamo in cerchio. Per farci entrare in sintonia con quello che ci aspetta, la bagnina del bosco inizia con alcuni esercizi di mindfulness e di respirazione. L’obiettivo è tranquillizzarci, farci rallentare e farci trovare il passaggio verso questo nuovo mondo rilassante. Ci viene ripetuto che la lentezza sarà la nostra regola e «l’unico ritmo che sarà consentito nel bosco nelle prossime ore». Un quarto d’ora e qualche esercizio di Qi Gong dopo, sento di avere effettivamente rallentato, ma adesso ho davvero voglia di immergermi nel bosco. Ed è lì che ci dirigiamo, con passi lenti e silenziosi.
Ci siamo appena lasciati alle spalle i primi alberi e ho già la sensazione di essere inghiottita dall’atmosfera serena e fresca del bosco. È davvero come tuffarsi nel bosco: il bagno ha inizio.
Ci addentriamo un po’ nel bosco, fino a quando non siamo completamente circondati dagli alberi. Fuori dal sentiero la bagnina stende a terra una coperta che sarà la nostra base e a cui ritorneremo sempre dopo i vari giri alla scoperta del bosco.
In quanto botanica che si è occupata per lungo tempo dello studio degli alberi e della loro età, a questo punto ho la testa che inizia a pensare ad altro: il bosco è selvatico e non curato, il che mi piace molto. La maggior parte degli alberi, però, è relativamente giovane e, come sto per scoprire, si tratta solo di un piccolo boschetto. Che peccato, penso, mi sarebbe piaciuto un bosco antico, grande e folto.
Ora si inizia davvero. Ci viene dato il nostro primo compito e possiamo allontanarci in ogni direzione fintanto che non sentiamo il richiamo della «civetta». La «civetta» è un piccolo piffero di legno intagliato a forma di volatile. Primo compito: dobbiamo andare alla scoperta del bosco, osservare solo ciò che vediamo e sentirne come influisce su di noi, senza però toccare nulla. Ci sparpagliamo in varie direzioni.
Mi accorgo che intuitivamente cerco di tenermi lontana dagli altri partecipanti. Voglio sperimentare il bosco da sola e in tranquillità, la presenza degli altri mi disturba un po’. Comincio a domandarmi se non sarebbe stato più efficace andare da sola in un vecchio bosco isolato invece che cercare di rallentare qui, seguendo degli ordini in mezzo a un gruppo di persone. In ogni caso adesso è troppo tardi per cambiare programma, quindi decido di vivere l’esperienza nel miglior modo possibile.
Trascorso un po’ di tempo durante il quale giriamo in solitudine nel bosco, sentiamo il richiamo della civetta e ci riuniamo di nuovo intorno alla coperta. Io rientro per ultima alla base. Che abbia preso questa storia di rallentare un po’ più alla lettera degli altri?
Arriva il compito successivo: adesso possiamo, anzi dobbiamo, toccare e annusare il bosco e, se opportuno, magari anche assaggiarlo. Mi allontano dagli altri piena di determinazione. Accarezzo qualche foglia e mi appoggio a un albero con un alto fusto. Non assaggio nulla, però. In compenso ricominciano i dubbi: non è che è tutto quanto un po’ lontano dal mio modo di essere? Se fossi sola ora, mi cercherei un bel posticino e lascerei agire il bosco su di me, senza compiti prestabiliti, senza altre persone e la paura di non sentire il fischio della civetta. Sono pensieri che non riesco a cacciare, finché non è il momento di tornare alla base.
Dopo esserci confrontati su ciò che abbiamo sentito, annusato e assaggiato, ci viene comunicato il terzo compito: toglierci le scarpe! Qualche persona del gruppo sembra un po’ perplessa e, sebbene mi piaccia molto camminare a piedi nudi, anch’io sono sorpresa dal suggerimento. Ma in effetti, perché no?
E così arriva il mio momento «aha» della giornata: il suolo del bosco è incredibilmente morbido. I piedi sprofondano dolcemente nel terreno smosso e gradevolmente fresco del bosco. Sono affascinata da questa esperienza inattesa, che ha risposto alla domanda se l’escursione guidata nel bosco fosse stata la scelta giusta: sì, senza alcun dubbio! Ammetto infatti che da sola non avrei mai pensato di togliermi le scarpe nel bosco. E so già che, se possibile, ripeterò questa esperienza ad ogni mia futura escursione nel bosco.
Dopo qualche minuto in cui tutti cercano di introiettare questa insolita sensazione, ci riuniamo di nuovo intorno alla coperta. Arriva quindi il compito successivo: ascoltare. La bagnina del bosco ci spiega in modo dettagliato come dobbiamo utilizzare il successivo quarto d’ora: dobbiamo prestare ascolto in direzioni diverse. Che cosa colpisce il nostro udito? Quali uccelli riusciamo a riconoscere dal canto? Siamo capaci di escludere il leggero brusio della vicina autostrada o, magari, di trasformarlo nel mormorio di un ruscello? Ci dice anche che possiamo rimettere le scarpe, oppure no, se non vogliamo. Non ho dubbi: naturalmente resto senza.
Finalmente posso fare quello a cui aspiravo sin dall’inizio: cercare un angolo accogliente (lontano dagli altri, ovviamente), sedermi per terra, appoggiare la schiena a una vecchia quercia nodosa e chiudere gli occhi. Per un po’ cerco di mettermi in ascolto solo in una direzione, cosa che mi riesce piuttosto male. Allora decido di godermi la pace, il cinguettio degli uccelli e il fruscio del vento tra le fitte chiome frondose, indipendentemente da dove arrivino. Ora sono tutt’uno con il bosco...
... finché la civetta non ci chiama di nuovo. Lo ammetto: in questo momento sono infastidita dal vecchio volatile che disturba la mia quiete. Avrei voluto rimanere vicino alla mia quercia, invece mi avvio insieme agli altri, rassegnata al mio destino. Il prossimo compito non è proprio di mio gradimento. Ci viene dato uno specchio da tenere inclinato di 90 gradi appena sopra o sotto gli occhi, in modo da avere nuove prospettive. Possiamo anche usarlo per osservare le foglie da sotto o per sbirciare all’interno di un albero cavo. In pochi minuti esaurisco tutte le idee e questa volta aspetto con impazienza che la civetta chiami. Il feedback degli altri partecipanti all’immersione nel bosco è positivo, l’avversione allo specchio sembra essere solo una mia fisima. Niente di grave, comunque, perché sta per arrivare il secondo momento clou della giornata.
Mentre eravamo in giro con gli specchi, la bagnina del bosco ha appeso delle amache un po’ dappertutto tra gli alberi. L’ultima mezz’ora mi piace davvero un sacco e, di nuovo, è qualcosa che da sola non avrei mai fatto. Tutti si cercano un’amaca. Con mio grande sollievo, non ci sono più compiti da svolgere, ma possiamo semplicemente cullarci sulle amache, rilassarci e appisolarci. Fantastico: proprio quello che volevo. Mi dondolo sull’amaca e sono semplicemente felice.
Quando, qualche tempo dopo, lasciamo il bosco, è davvero come se riemergessimo da un altro mondo. Non solo osservando i cambiamenti in me, ma anche negli altri partecipanti, mi accorgo che il bosco ci ha cambiati. Abbiamo rallentato il ritmo, siamo più calmi, più soddisfatti e appagati. Il feedback complessivo del gruppo è molto positivo. Non sono però l’unica che si è sentita sotto pressione per il ritmo cadenzato dell’esperienza. Un altro partecipante confessa di non essere mai riuscito a lasciarsi andare del tutto, perché temeva di perdere il momento di ritrovo alla coperta. Un altro, come me, è ancora a piedi nudi fino all’uscita dal bosco ed è felice di aver fatto questa esperienza.
L’immersione nel bosco con queste modalità e sotto la supervisione di una guida professionale è un’esperienza che vale la pena fare. Dopo tre ore sento di avere rallentato, di essere più rilassata, intimamente calma e soddisfatta. Con o senza risultati scientifici sullo Shinrin Yoku, questa sensazione per me è sufficiente a dimostrare l’effetto positivo delle immersioni nel bosco. E anche se non ho apprezzato tutti i compiti assegnati per scoprire il bosco, in realtà è stato proprio quello il punto decisivo: ho scoperto nuovi modi per rendere più ricche le mie prossime escursioni nei boschi. E sono tornata a percepire il bosco come qualcosa di vicino al mio essere.
Di certo mi recherò più spesso a fare qualche immersione nel bosco, senza istruzioni ma con un’amaca nello zaino.
Immagine di copertina: Anna SandnerRedattrice scientifica e biologa. Amo gli animali e sono affascinata dalle piante, dalle loro capacità e da tutto ciò che si può fare con loro. Ecco perché il mio posto preferito è sempre all'aperto, in mezzo alla natura, preferibilmente nel mio giardino selvaggio.