
Piatti profumati creati dai rifiuti alimentari
Chi dà più valore al cibo ne getta via meno, e questo già prima della cottura: la food designer Laura Lynn Reyes sfrutta i rifiuti alimentari per creare piatti usa e getta, compostabili e per lo più profumati.
Secondo l’UFAM, ogni anno nei ristoranti e negli hotel in Svizzera vengono prodotte 290 000 tonnellate di rifiuti alimentari, che derivano in parte anche da cibo non cucinato, come un limone spremuto. Contemporaneamente, la popolazione genera regolarmente altri rifiuti con i piatti da asporto. Laura Lynn Reyes, food designer laureata alla ZHdK, vede molte ragioni per dare uno sguardo più attento allo spreco di cibo. E se si potesse ricavarne qualcosa di nuovo? Qualcosa da mettere di nuovo in tavola?
Progetto Nom.0
Per la sua tesi di laurea chiamata «Nom.0», la designer ha cercato il modo di creare un biomateriale ricavato dai rifiuti organici. «Non è importante solo quanto buttiamo via, bensì anche cosa», spiega Laura. «Ho iniziato a sperimentare con le ossa di animali, ma dopo diverse ricerche ho deciso di non usare materiali animali. Non mi piaceva l’idea di estetizzare questo tipo di materiale. Così ho iniziato a lavorare sugli avanzi del ristorante zurighese «Neue Taverne», che scarta principalmente rifiuti di origine vegetale».

Dopo alcuni esperimenti, Laura è riuscita a produrre una materia prima basata su scorze di limone, bucce di rabarbaro e baccelli di piselli, verdure che in quel momento erano di stagione. In seguito, ne ha ricavato piatti e sacchetti compostabili. I piatti sono realizzati sottoponendo a calore rifiuti organici puri, che vengono poi pressati in uno stampo. Il biomateriale dei sacchetti si crea in un processo di essicazione di una biomassa trasparente con l’aggiunta di rifiuti organici. Al termine del progetto, Laura ha mostrato i suoi prototipi al ristorante: «Questo tipo di design è pensato per dare più flessibilità ai ristoranti», spiega Laura. «Talvolta la clientela preferisce portare via il cibo piuttosto che mangiarlo sul posto, soprattutto di questi tempi di pandemia.»


Piattini profumati
La cosa speciale di questi piatti è che emanano ancora un po' l'odore del cibo originale. Gli chef possono sfruttare sia il profumo che l'estetica per le loro creazioni. La clientela godrà di un'esperienza ancora più sensoriale. Il pane, la frutta secca o altri alimenti da centrotavola possono essere serviti nei sacchetti a base di semi di avocado invece che nei sacchetti di carta: «Dal punto di vista tattile, questo materiale sottolinea la sensazione di croccantezza del cibo contenuto al suo interno, mentre il sacchetto ricavato dalle bucce di rabarbaro, grazie al suo colore tenue, evidenzia il carattere delicato dei dolci contenuti al suo interno».


Quando i rifiuti diventano preziosi
Il nome del progetto fa riferimento al desiderio di Laura di estendere il ciclo di vita dei prodotti: «Il termine 'Nom' deriva dalla parola inglese 'Nomad’, nonché dal suono prodotto quando si mastica, che in inglese viene descritto nello stesso modo. 'Nomad' riflette anche la mobilità della nostra società e lo '0' sottolinea che tutti gli elementi essenziali sono a base vegetale e vengono realizzati con rifiuti organici: materiali che possono essere restituiti alla terra e riprendere il ciclo vitale. Oppure possono rimanere nel ristorante da cui provengono, venendo riutilizzati sotto forma di sottobicchieri dopo essere stati consumati».


Per poter sviluppare ulteriormente i suoi prototipi, la food designer è attualmente alla ricerca di industrie di produzione locali. Al momento, produce ancora tutto a mano: «Esistono già piatti usa e getta realizzati in biomateriali, ma manca un concetto di ripresa nel ciclo vitale come Nom.0. Un'idea che ci spinge a pensare al ciclo del cibo e dei rifiuti alimentari e a dare un valore aggiunto ai rifiuti. Se crei qualcosa di nuovo dai rifiuti, all’improvviso tutti inizieranno a usarlo. È questo il mio compito come designer: mostrare l’estensione del possibile».
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