20th Century Studios
Recensione

Recensione di «Predator: Badlands»: ottimo film d'azione

Luca Fontana
4.11.2025
Traduzione: Nerea Buttacavoli

E se il cacciatore più pericoloso dell'universo fosse il più debole del suo clan? «Predator: Badlands» inverte la formula e racconta una storia di mostri sull'onore, il codice e il cambiamento.

Questa recensione non contiene spoiler. Non svelerò più di quanto è già noto e visibile nei trailer. «Predator: Badlands» è al cinema dal 6 novembre.

Ci sono personaggi del cinema che non possono essere uccisi. Non con i proiettili, non con il tempo. Il Predator è uno di questi. O per essere più precisi: gli Yautja, la specie che un tempo insegnava ad Arnold Schwarzenegger ad avere paura nelle giungle dell'America Centrale. «Se può essere ferito, può essere ucciso» disse Arnold nel 1987. Ciononostante, la sua battuta è stata l'inizio di una mitologia, anche se quasi scomparsa nei decenni successivi a causa di reboot trash e fantasie crossover.

E poi è arrivato Dan Trachtenberg. Nel 2022 con «Prey» e recentemente con «Killer of Killers», ha mostrato al franchise cosa succede quando si prende di nuovo sul serio il mostro nato dal culto macho delle montagne di muscoli. Anche perché ha indubbiamente una comprensione degli Yautja che nessuno ha mai avuto dopo il regista originale John McTiernan: come cacciatore con un codice d'onore.

Trachtenberg porta avanti questa idea con «Predator: Badlands». Non racconta l'ennesima storia di persone che devono sopravvivere contro un mostro, ma una storia in cui il mostro deve dimostrare il suo valore per sopravvivere. È una bella sensazione. Nuova. Forse anche sorprendente.

Un cacciatore diventa un underdog

Onestamente non pensavo che Hollywood sarebbe ancora riuscita a sorprendermi. Troppo spesso, i vecchi marchi vengono spremuti fino a far evaporare l'ultimo briciolo di nostalgia. Ma ecco che «Predator: Badlands» dimostra che anche un franchise che si credeva morto può tornare a una nuova vita, se solo lo si lascia fare. Che qualcuno dica ancora che a Hollywood non ci sono più idee fresche. Esistono. Ma raramente qualcuno le ascolta.

Quindi è un bene che la 20th Century Studios si sia data una scossa e abbia dato a Dan Trachtenberg, che non solo ha diretto «Badlands» ma lo ha anche co-scritto, un posto al tavolo dei grandi. Ma mentre «Prey» era un ritorno alle origini, «Badlands» è un audace balzo in avanti.

Il nuovo protagonista del franchise di «Predator» è – rullo di tamburi – un Predator!
Il nuovo protagonista del franchise di «Predator» è – rullo di tamburi – un Predator!
Fonte: 20th Century Studios

Il film inizia dove meno te lo aspetti: con uno Yautja che non vince. Dek è il cacciatore più debole del suo clan e quindi un emarginato in una cultura che misura l'onore in base ai trofei. La debolezza è disonore e il disonore va sradicato. O meglio: cacciato e ucciso.

In fuga, Dek cerca rifugio su un pianeta che persino la sua specie teme. Lì vive una creatura considerata invincibile. E per Dek è chiaro: se è il più debole, la sua strada per la sopravvivenza consiste nello sconfiggere il più forte – e quindi nel rivendicare per sé il più grande di tutti i trofei…

In alcune scene, «Badlands» ricorda l'originale del 1987, solo a ruoli invertiti. Non è certo una coincidenza.
In alcune scene, «Badlands» ricorda l'originale del 1987, solo a ruoli invertiti. Non è certo una coincidenza.
Fonte: 20th Century Studios

Improvvisamente i ruoli si invertono. Il cacciatore diventa la preda, il mostro l'underdog. Trachtenberg inverte la formula, ma non la rompe. Non umanizza lo Yautja, rende solo visibile la sua parte umana. La sua vulnerabilità. La sua rabbia. La sua paura di essere insignificante.

Soprattutto, però, Trachtenberg ci fa entrare in profondità in questo corpo di acciaio e carne e ci mostra come ogni movimento diventi un atto di sopravvivenza: il pianeta su cui Dek è bloccato non è una landa desolata, ma un inferno fiorente. I predatori si nascondono tra gli alberi coperti di muschio, con i denti che brillano come schegge di vetro. I rami afferrano tutto ciò che si muove. I cespugli sputano veleno. I vermi esplodono. Anche l'erba è un'arma, così affilata da causare tagli non appena la si tocca.

E Dek? Si muove come un corpo estraneo in un ecosistema che lo respinge, un cacciatore che è approdato in un regno dove tutto caccia.

Fighissimo.

«Uno Yautja non è amico di nessuno»

Eppure, quando al fianco di Dek compare un compagno dall'aspetto umano, sento già le voci indignate dei primi fan: «Un Predator che fa amicizia con qualcuno? Sacrilegio! Tradimento del patrimonio!». Ma è proprio questo il malinteso. Dan Trachtenberg non tradisce nulla. Anzi. Fin dall'inizio, il film mostra chi sono gli Yautja:

«A Yautja is no one’s friend. A Yautja is everyone’s predator».

Anche dopo «Predator: Badlands», gli Yautja rimangono assassini assetati di sangue estremamente efficienti.
Anche dopo «Predator: Badlands», gli Yautja rimangono assassini assetati di sangue estremamente efficienti.
Fonte: 20th Century Studios

Gli Yautja non sono compagni. Sono cacciatori. La frase attraversa come un'incisione l'intero film. Ma i cacciatori usano strumenti. Alcuni sono rozzi – lame, lance, reti –, mentre altri sono più sofisticati, come campi di invisibilità, scanner termici, cannoni laser la cui precisione è quasi inquietante. Tutto serve allo stesso scopo: perfezionare l'uccisione.

Thia, la suddetta compagna, una sopravvissuta sintetica della Weyland-Yutani Corporation, è solo la successiva estensione logica di tutto ciò. Uno strumento. Non un essere vivente. In quanto androide, o più precisamente sintetica, non è altro che una macchina. Qualcosa che si usa per cacciare. In questo caso, anche per sopravvivere. Almeno così dice Dek, per non entrare in conflitto con il suo codice Yautja.

L'idea di dare a un Predator una compagna dalle sembianze umane susciterà probabilmente delle polemiche. Mi piace.
L'idea di dare a un Predator una compagna dalle sembianze umane susciterà probabilmente delle polemiche. Mi piace.
Fonte: 20th Century Studios

Dek rimane sempre quello che è: un assassino. E non uno stupido. Può essere giovane, ipermotivato, piuttosto esile per uno Yautja e a volte troppo spavaldo, ma impara. Sempre. Analizza, osserva e si adatta. Ed è questa la nuova direzione che «Badlands» osa prendere: il film mostra uno Yautja che non diventa più forte perché diventa più brutale, ma perché si rende conto che la forza non vale nulla senza adattamento.

Non mi disturba che sia la sintetica Thia, tra tutti, ad avviarlo su questa strada con una quantità di calore e umorismo sorprendente per un film di «Predator». In realtà mi piace questo sviluppo. Avviene gradualmente, quasi inosservato. Ad esempio, quando Dek impara dai numerosi errori che commette inizialmente e alla fine usa ciò che ha imparato contro i suoi nemici.

Per me, questo non è l'indebolimento di un mito, ma il suo urgente e necessario sviluppo.

Impatto, sangue e precisione

Un'altra cosa: anche se «Predator: Badlands» è stato classificato come PG-13 negli Stati Uniti, cosa che ha giustamente preoccupato molti fan, qui non c'è nulla di docile. Dan Trachtenberg mette in scena la violenza con un'immediatezza fisica che fa male. Ma questo non è niente di nuovo. Lo sappiamo già da «Prey» e «Killer of Killers».

Quando Dek fa a pezzi i suoi avversari, ad esempio, il sangue schizza, gli arti volano e i corpi vengono frantumati. È proprio per questo che la FSK tedesca consiglia la visione solo a partire dai 16 anni.

La classificazione PG-13 non significa assolutamente che «Predator: Badlands» sia un film docile.
La classificazione PG-13 non significa assolutamente che «Predator: Badlands» sia un film docile.
Fonte: 20th Century Studios

Allo stesso tempo, «Badlands» rimane sorprendentemente elegante nel suo ritmo. Nessun momento si trascina per le lunghe, nessuna battaglia dura troppo. Trachtenberg ha un senso perfetto di quando la tensione deve esplodere e quando deve respirare. Un attimo prima un fascio di energia rossa scintillante squarcia il sottobosco, un attimo dopo c'è quel silenzio inquietante che ricopre il film come una seconda pelle.

Sì, Trachtenberg ha molto da offrire.

In breve

La rinascita di un mito

Con «Predator: Badlands», Dan Trachtenberg dimostra che non è necessaria una rottura radicale per rivitalizzare un franchise. Solo il coraggio di provare qualcosa di nuovo. Infatti, guarda attentamente dove gli altri vedono solo un mostro: nel mondo interiore della creatura. Nella sua cultura, nel suo codice, nel suo dubbio.

Naturalmente, «Badlands» non è una pietra miliare della storia del cinema. Ma è un film d'azione dannatamente ben fatto. Grezzo, avvincente e incredibilmente elegante nella messa in scena. Un film che sa quando essere rumoroso, quando essere silenzioso e anche quando può fare l'occhiolino. «Badlands» porta una firma chiara: quella di un regista che sa quello che fa.

Credo che questo sia il più grande successo di Trachtenberg. Non rende il mito più grande di quello che è, ma ci ricorda perché ha funzionato fin dall'inizio. «Predator: Badlands» non è un progetto di prestigio, ma un cinema di genere onesto e tecnicamente forte. E questo basta a farmi ricredere sul fatto che anche un vecchio cacciatore può ancora cogliere di sorpresa.

Immagine di copertina: 20th Century Studios

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Scrivo di tecnologia come se fosse cinema – e di cinema come se fosse la vita reale. Tra bit e blockbuster, cerco le storie che sanno emozionare, non solo far cliccare. E sì – a volte ascolto le colonne sonore più forte di quanto dovrei.


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