Nächte der Füchsin

Non ho mai scoperto che tipo di persona fosse mio padre. Nell'unica foto che ho di lui, tiene gli occhi chiusi. A lungo mi sono convinto che se fossero stati aperti e rivolti verso di me, avrei ricevuto risposte a tutte le mie domande. Nella foto è in un completo nero al molo del porto di Amburgo, alle Landungsbrücken di St. Pauli, davanti a un veliero. Gru, alberi e pennoni lo sovrastano, sembrano sollevarlo. È più vicino alle nuvole che alla terra. Con la mano destra si tiene alla corda della passerella. Il corpo e il viso sono rivolti verso la macchina fotografica, sorride, ma quando è stato premuto il pulsante, i suoi occhi erano chiusi. Da bambino pensavo che fosse arrivato proprio con quella nave dalla Spagna. I suoi abiti scuri, la leggerezza, la nave, tutto sottolinea l'unicità di quel momento. Una fotografia di un tempo precedente a me, ma in cammino verso di me. Giro l'immagine tra le mani mentre sono in piedi nel soggiorno di mia zia, guardandola con confusione. Lei piange in silenzio. Le lacrime le scorrono sulle guance, le asciuga meccanicamente con un fazzoletto. Mi rendo conto che lo ha sepolto solo una settimana fa. Probabilmente, mio padre era la persona più importante della sua vita. In televisione continua a andare in onda la serie familiare spagnola. Rosalía ha abbassato il volume. Fisso lo schermo, vedo l'eroe dai capelli grigi che sta montando a cavallo nel cortile di un'hacienda, frenando il cavallo davanti a una giovane donna e parlandole dall'alto in basso. Con un gemito, Rosalía si lascia cadere sul divano, affondando tra i cuscini e nel passato. I morti si siedono accanto a lei. Lei ascolta e annuisce, sussurra frasi sconnesse in un canto rassicurante. Ha dimenticato me e il grigio eroe della telenovela.