Alle Eine

La domenica in cui sono morta. Per quanto mi riguarda, mi sveglio ancora presto nelle domeniche di pioggia. Guardo sempre verso destra, dove mio marito dormiva una volta, mentre teneva in piedi la nostra casa. E a volte mormoro nel mio cuscino: Vedi, Eduardo, la casa è ancora in piedi. E poi mi alzo, facendo attenzione a non calpestare il tavolato allentato, anche se non c'è più nessuno che possa essere disturbato dal rumore. Questi comportamenti, specialmente quelli notturni e solitari, si radicano nella memoria del corpo. Continuo a non prestare attenzione all'alluce valgo e zoppico verso il bagno per guardarmi nello specchio. Strano: da quando sono sola, ho l'impressione che il vuoto diminuisca. È un cambiamento quasi impercettibile, una leggera sfumatura della mia immagine lì nello specchio, le guance più rosate o negli occhi una lucentezza che ritorna. Una persona con una migliore sensibilità per la realtà lo attribuirebbe al riflesso dell'alba là fuori, al cielo arancione e rosso infuocato. Ma io no, no. Sento che sto tornando gradualmente. Non sono né sorpresa né spaventata. Non provo nemmeno dolore. A dire il vero, provo una sorta di sollievo. Alívio, dico piano tra me e me nella mia lingua madre, la voce quasi solo un soffio, la bocca molto vicina allo specchio, che si appanna per la parola. E sembra che all'improvviso mi si riveli il significato che porta il mio nome: Lívia - la Sbiadita, la Pallida, la Leggera, la Luminosa. - Lívia! - ripeto ad alta voce, come se stessi chiamando me stessa.